Tsunami cinghiali, il Piemonte è la seconda regione per danni causati all’agricoltura
La prima regione è l’Abruzzo. Il Piemonte è la seconda più colpita dai danni causati all’agricoltura dai cinghiali. Tradotto in denaro si stimano circa 17 milioni di euro tra il 2015 e il 2021, ovvero il periodo preso in esame dall’indagine nazionale di Ispra sulla gestione degli ungulati a livello nazionale.
Le statistiche sono state presentate ieri ad un evento di Confagricoltura, dopo un enorme sforzo effettuato per raccogliere i dati sui cinghiali: dalla loro presenza ormai ovunque - dai boschi alle vie del centro città - agli abbattimenti. Ma senza tenere conto degli incidenti stradali che provocano e del terrore che possano «infettare» gli allevamenti di maiali con la peste suina. In sintesi: dal 2015 al 2021 è stato calcolato che in Italia siano stati abbattuti più di 2 milioni di esemplari e oggi l’Ispra ritiene ci sia una «consistenza minima» di un milione e mezzo di capi che invece lieviterebbero a 2,4 milioni per il centro studi di Coldiretti. Insomma le cifre ballano un bel po’, come avviene quando si parla di lupi. «Comunque, lo scorso anno in Piemonte ne sono stati uccisi 8562 con le battute di caccia, oltre 3 mila nelle aree protette e altri con gli interventi di selezione – calcola l’assessore regionale Fabio Carosso - Siamo, però, ancora lontani dai 40mila che era l’obiettivo, su una popolazione stimata in circa 110 mila animali». Ieri Carosso e l’assessore regionale a Caccia e Agricoltura Marco Protopapa, hanno incontrato i ministri Lollobrigida e Schillaci ai quali hanno chiesto di prolungare «di almeno altri due mesi il periodo delle battute di caccia al cinghiale con i cani, anche perché, nei boschi c’è meno fogliame e si possono ottenere risultati migliori». Sui danni il quadro è desolante. «Più o meno la media di quelli denunciati va dai 5 ai 6 milioni l’anno – calcola Protopapa – ma, per il 2022, la stima è aumentata». Tutto questo mentre sui social e sui giornali si moltiplicano le foto di branchi di ungulati che devastano prati e pascoli in cerca di tuberi, ghiande, radici e castagne, rovesciano i bidoni dell’umido lungo le strade ed entrano addirittura nelle cucine dei ristoranti attirati dal profumo dei cibi. Ai due ministri Carosso ha anche ribadito come: «Sia finito il tempo di fare polemiche sulle modalità di abbattimento e di cattura di questi animali che ora sono diventati un problema per la sicurezza pubblica e anche per il futuro delle imprese agricole». Senza contare che dal gennaio dello scorso anno, i cinghiali sono i responsabili principale della diffusione della peste suina africana. «I capi infetti aumentano di giorno in giorno, io non so se la politica non se ne accorge» si arrabbia Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Piemonte. «Se la situazione sfugge di mano, esce dalla “zona rossa” e si allarga al Torinese o al Cuneese, dove vengono allevati un milione e 300 mila suini destinati alla produzione di prosciutto di grande qualità, sarà una catastrofe». Per questo Confagricoltura ha scritto ai vertici regionali perché venga allestito un tavolo permanente sul tema. «Dalla scoperta della peste suina è passato un anno e non è nemmeno stata terminata la recinzione in provincia di Alessandria per limitare i movimenti dei cinghiali e di conseguenza il propagarsi dell’epidemia – continua Allasia - L’Unione Europea, per concedere i contributi di sostegno alle aziende, aveva imposto al Piemonte di abbattere 55 mila capi e non è stato così, per quello siamo preoccupati. E diventiamo molto allarmati visto che, dopo la diffusione dei contagi, il settore suinicolo perde in media 20 milioni di euro al mese». La priorità, insomma, è ridurre il disastro».
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