Salario minimo, ok del Cnel a testo che valorizza contrattazione collettiva.
L’assemblea del Cnel ha approvato a maggioranza il documento finale sul lavoro povero e salario minimo. Nel documento si valorizza “la via tradizionale” della contrattazione collettiva. L’assemblea del Cnel non ha approvato la proposta presentata dai cinque esperti, tra quelli nominati dal presidente della Repubblica, sulla sperimentazione della tariffa retributiva minima da affiancare alla contrattazione salariale.
Meloni: «Da analisi Cnel si evince che salario minimo non è strumento adatto» In serata la premier Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il presidente del Cnel, Renato Brunetta, che le ha consegnato il documento contenente gli esiti dell’istruttoria sul lavoro povero e il salario minimo. In una nota di Palazzo Chigi, che riporta la posizione della presidente del Consiglio, si legge che «dall’analisi tecnica ricevuta emerge che il mercato del lavoro italiano rispetta pienamente i parametri previsti dalla direttiva europea sul salario minimo adeguato. La contrattazione collettiva, al netto dei comparti del lavoro agricolo e domestico, copre infatti oltre il 95% dei lavoratori del settore privato. Da ciò si evince - ha continuato la premier - che un salario minimo orario stabilito per legge non è lo strumento adatto a contrastare il lavoro povero e le basse retribuzioni» ovviamente è solo una sua valutazione non condivisa dai lavoratori.
«Prima possibile interventi organici sui salari»
Come sottolineato dal Cnel - ha continuato Meloni - occorre piuttosto programmare e realizzare, nell’ambito di un piano di azione pluriennale, una serie di misure e interventi organici. È la strada che il Governo intende intraprendere nel minor tempo possibile, tenendo in massimo conto le indicazioni e i suggerimenti formulati nel documento dalle rappresentanze delle forze sociali presenti nel CNEL e di quelli che arriveranno dall’opposizione. È intenzione del Governo proseguire nel contrasto al lavoro povero e ai salari bassi che affliggono l’Italia ormai da diversi decenni, contrariamente a quanto avviene nel resto d’Europa, dove si è assistito a una crescita sostenuta e costante dei livelli salariali».
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