Studenti manganellati: l’informativa di Piantedosi riporta al G8 di Genova
L’informativa alla Camera del Ministro degli Interni Matteo Piantedosi, a seguito del pestaggio di studenti inermi a Pisa e Firenze operato dalla polizia in assetto antisommossa, ha preteso di ribaltare diametralmente i fatti, il loro significato e le motivazioni retrostanti. Operazione culminata con la squallida barzelletta che oggidì “monterebbe un clima di crescente aggressività nei confronti delle Forze dell’ordine”. Per cui è doveroso “garantire l’incolumità degli operatori di polizia”. Dunque, “il governo sta dalla loro parte” e dice “no a processi sommari”.
Non molto – davvero – per lenire le ferite sanguinanti di ragazzi e ragazze sfigurati dalle manganellate dei questurini paciocconi. Per cui, preso dal clima del “salvate la Patria in pericolo” che si vorrebbe simulare, persino il fantasmatico Antonio Tajani inarca il petto da scarto di leva e tuona come un Pasolini reincarnato: “i poliziotti sono figli del popolo” (ma lo erano anche i contadini che a Sapri massacrarono a colpi di falce e forcone i patrioti mazziniani guidati dai Pisacane), “mentre quelli che li attaccano sono figli di papà radical chic” (ma basta con questo lessico rancido!).
Comunque pensa di aggiustare tutto il pompiere di corte per guardianaggi ecumenici Alessandro Giuli (mentre il primo gurkha per pestaggi mediatici rimane l’insuperabile Italo Bocchino) che con quell’aria melliflua va ripetendo il “chi ha sbagliato pagherà” di Giorgia Meloni: l’apoteosi dell’indefinito per non dire assolutamente nulla. Il fatto che la linea del picchiatore a piede libero, oltre a gratificare l’elettorato degli aficionados di questa destra che bastona i disturbatori, è anche una bella trappola per una sinistra da tempo desueta ad analizzare il pensiero celato nelle apparenze di maniera; imbolsita da pluridecennali overdosi di politicamente corretto.
Per cui eccola annuire a comando davanti al buonsenso in apparenza rassicurante del “non esiste in Italia un problema di ordine pubblico”; cui fa seguito il ponziopilatesco di prammatica “sono eccessi imputabili solo a singoli elementi isolati”. Inquietante pendant di quando a sinistra i terroristi che sparavano erano solo “compagni che sbagliano”. Poi arrivò l’assassinio di Guido Rossa…
Ancora una volta – davanti ai fatti di Firenze e Pisa – andrebbe recuperato un minimo di memoria storica. Magari ricordando un genovese G8 di sangue, nel luglio 2001. Si era da poco installato il secondo governo Berlusconi con vicepresidente l’ex pupillo di Giorgio Almirante Gianfranco Fini, non ancora borghesizzato sulla via di Montecarlo. Ebbene, quei giorni che videro cariche violente su pacifici manifestanti, poi culminate nelle mattanze della scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, erano state precedute – come ricostruì un giornalista del calibro di Giuseppe D’Avanzo – da un sospetto agitarsi del succitato vicepresidente nella Prefettura di Genova e poi, per ben sette ore, nella caserma dei carabinieri di San Giuliano. Per fare cosa?
Per assicurare – quale antesignano di futuri Matteo Piantedosi – “la piena solidarietà del governo”. Mossa che non solo D’Avanzo ma anche altri testimoni oculari (come il mio vecchio amico Giulietto Chiesa) decodificarono subito nel suo vero significato: il via libera a tutto quello che accadde immediatamente dopo le visite in questione. Sia chiaro: non un esplicito mandato (Fini era sufficientemente abile o non ancora rintronato dagli ozi romani), bensì una sorta di strizzata d’occhi: “noi ci capiamo…”.
In sostanza, nelle cosiddette forze dell’ordine (in cui, mi dicono i loro esponenti con cui ho rapporti, sino a due anni fa il massimo degli apprezzamenti andava a Matteo Salvini e ora – probabilmente – sta rifluendo verso la più rampante Giorgia Meloni) è presente una non trascurabile quantità di elementi con spiccate pulsioni a menare le mani. Tentazione repressa finché regge una pur abborracciata pax democratica, ma che viene tradotta in pratica appena il quadro politico fornisce segnali confermativi al riguardo. Quando sembra essere finalmente giunto il momento dei regolamenti di conti con i disturbatori della quiete pubblica, i protestatari, i mocciosi figli di papà. Dunque, quel clima da “liberi tutti” che richiama precise responsabilità politiche, conseguenti all’ascesa di forze reazionarie.
Come lo erano i governi Berlusconi (sedicenti liberali), come lo è questo governo Meloni (palesemente retroverso); che è risibile invitare a dichiararsi antifascista, visto che è tale in quanto cultore dell’intolleranza e della prevaricazione (oltre – in taluni casi – collezionista di busti dell’uomo di Predappio). Ma è un problema anche per la sinistra, che ha sempre evitato la sfida di democratizzare effettivamente gli organi di polizia, in base ai dettati costituzionali. Ha sempre rimandato tale impegno delegando il bagnomaria della questione a funzionari in carriera; come Gianni De Gennaro, capo della polizia al tempo del G8 a Genova.
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