Auto benzina e diesel, stop dal 2035: cosa cambia in Italia?
Ma conviene ancora acquistare un’auto a benzina o diesel? La risposta, in teoria, è sì. Anche se sono sempre meno i modelli a benzina o diesel sul mercato, per una scelta precisa dei costruttori già proiettati verso l’eletttrificazione.
Stop completo ad auto e furgoni di nuova produzione a benzina e diesel dal 2035. In una giornata rissosa e piena di colpi di scena a Strasburgo, con parte del pacchetto climatico della Commissione Europea clamorosamente bocciato, il Parlamento Europeo ha dato il via libera a una delle misure chiave e più controverse proposte dall’esecutivo di Ursula von der Leyen.
Il testo, che prevede la fine del motore a scoppio tradizionale tra tredici anni, è stato approvato all’assemblea plenaria con 339 sì, 249 no e 24 astenuti, mentre è stato bocciato l’emendamento avanzato dal Ppe (che poi ha votato contro il testo) che chiedeva di ridurre il taglio delle emissioni dei veicoli nel 2035 dal 100% al 90%. Il testo, a dire il vero, parla solo dell’obbligo per i veicoli di essere «ad emissioni zero», ma è una condizione impossibile per i tradizionali carburanti.
Alcuni costruttori, come Volkswagen, hanno del resto già annunciato autonomamente di voler cessare la produzione di veicoli a diesel e benzina entro il 2035.
Approvato invece l’emendamento «salva Motor Valley», in riferimento ai piccoli produttori (tra 1.000 e 10.000 passeggeri), per lo più auto di lusso (concentrati in Emilia-Romagna, ad esempio Ferrari e Lamborghini): le speciali deroghe dagli obblighi di emissioni, in scadenza nel 2030, saranno prorogate fino al 2036. Non siamo ancora all’approvazione definitiva della normativa: il testo del Parlamento Europeo dovrà ora esser negoziato con gli Stati membri, tra cui alcuni (come Germania e Italia) particolarmente attenti alla propria industria automobilistica.
La misura è parte del pacchetto «Fit for 55» della Commissione, destinato a ridurre le emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, in vista della neutralità climatica nel 2050. Solo che delle varie misure al voto ieri a Strasburgo, una ha registrato un autentico colpo di scena: l’aula ha bocciato la riforma del mercato delle quote di emissione (Ets), bloccando così anche l’approvazione di altri due testi strettamente legati, quello sui dazi climatici (Cbam, per compensare vantaggi competitivi di Paesi terzi che hanno norme di emissioni meno stringenti) e sul Fondo sociale per il clima (per le fasce più esposte al caroprezzi energetico).
Al centro due nodi principali: la data di avvio della Cbam e quella per la fine della concessione gratuita di permessi di emissione per le industrie ad alto consumo energetico (prevista per compensare svantaggi competitivi, funzione però trasferita ai dazi climatici). La Commissione Ambiente dell’Europarlamento aveva trovato un accordo che vedeva per la Cbam il 2025 e per la fine della gratuità il 2030. Prima del voto, Renew Europe (liberali e macroniani) aveva trovato un accordo con i Socialisti e democratici per portare le due date rispettivamente al 2026 e al 2032. Intesa che non ha trovato sostegno in aula.
A quel punto Popolari e Renew Europe, con il sostegno delle destre (Conservatori Ecr, tra cui Fratelli d’Italia, e gli euroscettici di Id, tra cui la Lega), hanno fatto passare un emendamento che spostava ulteriormente le date al 2028 e 2034. Inoltre, si abbassava l’obiettivo votato dalla maggioranza di centro-sinistra alla Commissione Ambiente, di un contributo di riduzione di emissione tramite mercato Ets dal 67% al 63% (comunque più del 61% della Commissione Ue).
Allora il centro sinistra (Socialisti, Verdi ed estrema sinistra) ha bocciato l’intero pacchetto. Anche qui, sia pure per opposte ragioni, con l’aiuto della destra, contraria alle proposte della Commissione in quanto «ideologiche» e «nocive» alla crescita. Totale: 265 sì, 340 no e 34 astenuti. «Ora - ha commentato il presidente della Commissione Ambiente, il francese di Renew Pascal Canfin - dovremo lavorare, tornando in sede di commissione».
Una cosa è chiara: la «maggioranza Ursula», che elesse nel 2019 Von der Leyen ai vertici della Commissione (e cioè Popolari, Socialisti e Renew) si è spaccata, con le destre che hanno scaltramente utilizzato la situazione: gli euroscettici tra cui la Lega hanno dapprima sostenuto l’emendamento che annacquava la riforma, ben sapendo che avrebbe suscitato le ire del centro-sinistra, e poi votato contro l’intero testo.
«Vista la sconfitta – ha dichiarato Antonio Tajani, vicepresidente Ppe e coordinatore di Forza Italia – i socialisti si sono alleati con Afd e Le Pen per bloccare tutto». «La destra - ha detto invece Brando Benifei, capo delegazione del Pd - sperava di affossare la riforma, ma ha fatto male i conti: il Parlamento ha deciso di riportare i dossier all’esame della Commissione Ambiente per trovare un nuovo equilibrio nel testo. Andremo avanti».
Sul fronte italiano, si registrano altre spaccature. Del centro-destra, visto che Forza Italia ha votato a favore del pacchetto complessivo mentre Lega e Fdi contro. E nello stesso Pd, con alcuni «malpancisti» che hanno votato sì o si sono astenuti. La bocciatura è un problema, visto che il tempo stringe: si punta a fare entrare in vigore la riforma già nel gennaio 2023. Almeno, sono stati approvati altri testi, tra cui uno che prevede l’inclusione nel mercato delle quote di emissioni di trasporti marittimi, inceneritori e termovalorizzatori, e un altro che vi aggiunge anche i voli in partenza da un aeroporto Ue.
Commenti (0)