Ecco con cosa è fatta davvero la bresaola
Indicare la provenienza di un alimento non è obbligatorio ai sensi delle leggi vigenti, neanche quando si tratta di prodotti a marchio IGP e cioè coperti formalmente da “indicazione geografica protetta”.
In molti casi, nonostante le raccomandazioni del ministero delle Politiche Agricole e di Coldiretti, al consumatore è concesso di conoscere soltanto il luogo di produzione e il metodo di lavorazione della merce mentre sui passaggi precedenti resta un alone di mistero, grazie alla legislazione attuale che consente tale “black out” informativo.
Proprio in questi giorni, nell’occhio del ciclone è finito uno dei prodotti di punta del mercato nazionale, da tempo considerato simbolo dell’eccellenza tricolore nel settore alimentare: l’affettato di bresaola della Valtellina, il più amato tra i salumi negli ultimi 20 anni in Italia come testimonia la costante ascesa del fatturato delle aziende che lo realizzano.
Il segreto del successo di questo cibo saporito, leggero e sano (secondo l’opinione diffusa tra i consumatori) sta nella genuinità delle carni sottoposte ad un particolare processo di stagionatura, con l’ulteriore garanzia di una filiera controllata e severi standard qualitativi ad ogni livello.
Nessuno immaginava, a onor del vero, che la bresaola valtellinese IGP d’italiano avesse giusto qualcosa, ma non tutto: bovini brasiliani, francesi, irlandesi e austriaci vengono infatti utilizzati dai produttori per ottenere un quantitativo di merce adeguata alla domanda sul mercato, senza peraltro violare alcuna legge.
In particolare, giornali e siti web stanno dando oggi grande risalto alla notizia della presenza dello zebù del Brasile come parte integrante del “mix” di carni (comprensivo anche di garronesi e limuosine provenienti dalla Francia) dal quale deriva il prodotto finale tanto gradito dagli intenditori di salumi.
Inevitabile, alla luce dello “scoop” sull’origine evidentemente non abbastanza protetta dell’affettato, la polemica sulla mancanza di informazioni per i consumatori, non di rado tenuti all’oscuro della reale provenienza degli alimenti che finiscono sulle loro tavole.
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